De Vincenti: «Servizi urbani e investimenti, leve per crescere»

C’è un filo comune che lega le decisioni prese mercoledì sulla società partecipate dal Consiglio dei ministri e sullo sblocco dei fondi per investimenti dal Cipe: il governo Renzi lavora per sbloccare l’Italia. Garantire servizi pubblici più efficienti, che è il vero obiettivo finale del decreto partecipate, e accelerare gli investimenti pubblici sono due leve fondamentali per una crescita più stabile e per creare un ambiente più favorevole per le imprese che, a loro volta, vogliono crescere e investire».

Claudio De Vincenti (foto), sottosegretario alla presidenza del Consiglio, legge così la giornata di mercoledì per il governo.

«Sugli investimenti pubblici - aggiunge De Vincenti - stiamo invertendo la tendenza alla caduta e abbiamo già accelerato la spesa 2016 con le decisioni dei mesi scorsi. Le decisioni di mercoledì ci servono a consolidare questo trend di crescita oltre il 2016». E comunque «siamo in linea con il raggiungimento dell’obiettivo che ci siamo posti con la clausola di flessibilità europea degli investimenti». Quanto alle accelerazioni, «non è solo un fatto di semplificazioni che pure il governo ha fatto con lo sblocca-Italia. I patti per il Sud hanno creato un meccanismo virtuoso nuovo di governance in cui noi e Regioni ci responsabilizziamo a vicenda e ci controlliamo a vicenda sull’esecuzione di priorità che abbiamo individuato e concordato. Una volta definito il campo da gioco, c’è l’impegno reciproco a giocare al meglio la partita».

Sottosegretario De Vincenti, cominciamo dalle partecipate. Quale discontinuità imponete con il decreto varato mercoledì in una legislazione che cambia continuamente da 15 anni? Qual è il punto qualificante? E si riuscirà a contenere l’in house che ha drogato e distorto il mondo dei servizi pubblici locali negli ultimi 13 anni?

Il punto dirimente è costituito dalla delimitazione dei casi in cui possono essere costituite imprese a partecipazione pubblica e mantenute in essere le partecipazioni esistenti: essenzialmente servizi di interesse economico generale e società di gestione delle reti, mentre per le cosiddette società strumentali sono previsti limiti molto stringenti, per esempio in termini di fatturato, di risultati di esercizio e di rapporto numerico tra amministratori e dipendenti. Basta con le scatole vuote. È chiaro che in questo modo si riducono gli spazi per il ricorso a gestioni strettamente in house, si ampliano gli spazi di ricorso al mercato e si chiarisce nettamente la distinzione di ruoli tra amministrazione pubblica - volta a tradurre in indirizzi e controlli gli obiettivi di interesse generale della comunità locale - e gestione imprenditoriale di una azienda - che deve perseguire obiettivi di efficienza organizzativa, di qualità del servizio e di capacità di investimento e sviluppo aziendale.

È corretta la stima che parla di una riduzione del numero di società dell’ordine delle 5-6mila? Quanto tempo servirà?

Sì, il modo in cui abbiamo delimitato i confini entro cui le amministrazioni pubbliche possono mantenere partecipazioni in aziende portano a quel risultato. Il decreto legislativo fissa tempi rapidi e insieme realistici: entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto gli enti locali dovranno fare la ricognizione delle loro partecipazioni verificandone la compatibilità con il perimetro definito dal decreto; entro ulteriori sei mesi dovranno dismettere le partecipazioni incompatibili, pena l’esercizio dei poteri sostitutivi da parte del Ministro dell’economia e delle finanze. Per la prima volta il decreto partecipate affronta il punto-chiave degli esuberi con un piano che si dovrà cominciare a mettere a punto fra sei mesi.

È un punto di svolta per ridare efficienza a queste aziende? Basterà la mobilità per gestire queste eccedenze?

È un punto di grande importanza: l’inefficienza non è riconducibile solo né sempre a problemi di eccesso di personale, dipende anche molto da investimenti e tecnologie; ma certo l’organizzazione del lavoro nell’azienda è una variabile chiave e in certi casi i processi di efficientamento potranno determinare esuberi. Per questo abbiamo predisposto il meccanismo di mobilità da aziende con eccedenze ad aziende che hanno bisogno di personale: se teniamo conto del fatto che in alcuni settori - per esempio nel trasporto pubblico locale - ad eccedenze di personale che potranno determinarsi a seguito di guadagni di efficienza a parità di servizio seguiranno - ed è un obiettivo cruciale della riforma - maggiori investimenti e sviluppo dei servizi, si determineranno spazi significativi per riassorbire gli esuberi in mobilità. Per completare il quadro servirà il decreto sui servizi pubblici locali che però è slittato a ottobre/novembre.

Al termine di questo percorso riformatore, avremo nelle public utilities locali più mercato, più concorrenza, più efficienza, più investimenti?

Certamente sì, soprattutto avremo più efficienza e più investimenti perché avremo più imprenditorialità nella gestione delle aziende, che siano o meno a partecipazione pubblica. Ci tengo a sottolineare che mercato e concorrenza non sono obiettivi in sé ma meccanismi per sostenere lo sviluppo di una gestione imprenditoriale dei servizi che ne riduca i costi e ne migliori la qualità per i cittadini. Sulla legge Madia c’è stata una battuta d’arresto sui dirigenti pubblici.

Come intendete superare la forte resistenza dell’alta dirigenza? Riconoscerete la clausola di salvaguardia?

Nessuna battuta d’arresto, semplicemente ci sono ancora alcuni meccanismi di organizzazione della dirigenza da mettere a punto. Invito piuttosto a uscire dai luoghi comuni che ho trovato in alcuni commenti dei giornali: i dirigenti pubblici sono in larga maggioranza dei veri e propri “civil servant” e condividono gli obiettivi di efficienza e di equità che caratterizzano la riforma. Il Cipe ha effettuato la ripartizione di tutti i 25 miliardi del Fondo sviluppo e coesione (Fsc) programmabili a oggi. È il ritorno alla buona programmazione e per quali priorità? In realtà parliamo di oltre 38 miliardi di euro che, attraverso le allocazioni definite ieri dal Cipe sulla base delle scelte proposte dalla cabina di regia del Fsc, vengono allocati, nel rispetto della ripartizione 80% al Sud e 20% al Centro-Nord, per 21,7 miliardi a infrastrutture (trasporti e banda ultralarga), per 7,6 miliardi ad ambiente, per 6,1 miliardi a sviluppo economico e produttivo e per 2,2 miliardi a turismo e cultura. Per valutare queste scelte si tenga conto, a proposito di ritorno alla buona programmazione, che la cabina di regia ha lavorato a creare una forte sinergia con le allocazioni già definite con la Commissione europea per i fondi strutturali: sommando fondi strutturali ed Fsc, abbiamo da qui al 2023 in totale 36 miliardi sulle infrastrutture, 20 miliardi per sviluppo economico e produttivo, 19 miliardi per politiche attive del lavoro e inclusione sociale, 12 miliardi sull’ambiente, oltre 5 miliardi su turismo e cultura.

Il problema del Paese e del governo resta la crescita oggi e, in particolare, la ripresa degli investimenti: quali impatti concreti potranno avere le decisioni del Cipe sulla crescita 2016?

Gli impatti principali sul 2016 vengono, oltre che dalle politiche generali del governo, dalle scelte fatte dal Cipe nelle sedute dei mesi scorsi, a cominciare dalla banda ultralarga, nonché dall’accelerazione di investimenti infrastrutturali importanti. Si pensi, per fare solo alcuni esempi riguardanti il Mezzogiorno, all’Alta velocità Napoli-Bari, all’autostrada Salerno-Reggio Calabria o alla Palermo-Catania, ma molte opere sono state sbloccate anche al Centro-Nord. Si pensi anche al recupero realizzato nell’utilizzo dei fondi strutturali 2007-13 che prolunga i suoi effetti nell’anno in corso. Le decisioni di ieri cominceranno a tradursi in interventi concreti a partire dall’autunno e avranno impatti importanti soprattutto nel 2017 e seguenti. Clausola di flessibilità Ue sugli investimenti per il 2016: a che punto siamo con la spesa effettiva rispetto all’obiettivo dichiarato a Bruxelles di 5,2 miliardi aggiuntivi? Stiamo monitorando attentamente l’evoluzione degli investimenti previsti nella clausola: tenendo conto del profilo temporale in corso d’anno che caratterizza la spesa pubblica per investimenti nel nostro Paese, siamo in linea con il raggiungimento dell’obiettivo. Questo significa però che non dobbiamo abbassare la guardia e che dobbiamo mantenere forte la tensione ad accelerare la spesa nei prossimi mesi. Patti per il Sud che ancora devono essere firmati: Sicilia, Puglia, Napoli, Cagliari, Messina.

Quando si firmano? I problemi sono politici o tecnici?

C’è uno sforzo - insieme politico e tecnico, ossia di politica economica - da fare da parte delle istituzioni coinvolte nel confronto che costituisce la modalità di elaborazione di un Patto: alla regione o alla città metropolitana saper portare gli obiettivi che vengono dalle esigenze delle comunità amministrate e saper definire un ordine di priorità, al governo il compito di inserire quegli obiettivi e quelle priorità in un quadro di programmazione nazionale che dia coerenza a una politica per l’insieme del Mezzogiorno e per l’insieme del Paese. Posso dire che con la regione Sicilia e con la città di Cagliari siamo decisamente molto avanti, abbastanza avanti anche con la città di Messina e con la Regione Puglia, con la quale sembra ora avviato un confronto concreto su priorità finalmente indicate dalla Regione. Con la città di Napoli purtroppo il confronto deve ancora cominciare: come è evidente, è necessario per questo che il Comune si decida finalmente a interagire costruttivamente col Governo, altrimenti non si capisce come possa prendere corpo un confronto sul merito dei problemi come quello necessario a costruire un Patto.

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